Un gruppo di ricercatori guidati da Deep Jariwala e Roy Olsson della University of Pennsylvania ha messo a punto una memoria in grado funzionare in condizioni di calore estremo, a temperature fino a 600 °C e per oltre 60 ore. Tecnicamente, potrebbe funzionare nell’ambiente ostile di Venere senza battere ciglio.
Si tratta di un’importante innovazione, che va oltre qualsiasi memoria commerciale, capace di sostenere circa 200 °C. Con l’aumento delle temperature, gli elettroni che memorizzano i dati diventano instabili causando guasti al dispositivo e la perdita di informazioni. La nuova memoria permette di creare strumentazione che deve funzionare in ambienti estremi e molto altro.
“Dalla perforazione della terra profonda all’esplorazione dello spazio, i nostri dispositivi di memoria ad alta temperatura potrebbero portare il calcolo avanzata dove altri dispositivi elettronici e di memoria vacillerebbero”, ha spiegato Jariwala. “Non si tratta solo di migliorare i dispositivi, ma di aprire nuove frontiere nella scienza e nella tecnologia“.
Il dispositivo non volatile, in grado di conservare le informazioni senza bisogno di un’alimentazione costante, si basa su un materiale ferroelettrico noto come nitruro di alluminio e scandio (AlScN). L’AlScN è in grado di mantenere un determinato stato elettrico – “acceso” o “spento”, 1 e 0 – dopo la rimozione di un campo elettrico esterno e a temperature significativamente più alte del silicio.
“La struttura cristallina dell’AlScN gli conferisce anche legami più stabili e forti tra gli atomi, il che significa che non è solo resistente al calore, ma anche piuttosto durevole“, ha spiegato Dhiren Pradhan, primo autore dell’articolo e ricercatore di post-dottorato nei laboratori di Jariwala e Olsson. “Ma soprattutto, il design e le proprietà del nostro dispositivo di memoria consentono una rapida commutazione tra gli stati elettrici, fondamentale per scrivere e leggere dati ad alta velocità”.
Il dispositivo di memoria è costituito da una struttura metallo-isolante-metallo, che incorpora elettrodi di nichel e platino con uno strato sottile (45 nanometri) di AlScN. Lo spessore è fondamentale perché a temperature elevate le particelle si muovono in modo più irregolare.
“Se è troppo sottile, l’aumento dell’attività può favorire la diffusione e degradare il materiale. Se è troppo spesso, la commutazione ferroelettrica che stavamo cercando viene meno, poiché la tensione di commutazione scala con lo spessore e in ciò c’è una limitazione negli ambienti operativi pratici. Quindi, il mio laboratorio e quello di Roy Olsson hanno lavorato insieme per mesi per trovare questo spessore ideale“, ha spiegato Deep Jariwala.
La configurazione strutturale garantisce anche la compatibilità con i dispositivi logici al carburo di silicio ad alta temperatura, consentendo al dispositivo di funzionare insieme ai sistemi informatici ad alte prestazioni progettati per temperature estreme.
Tra le diverse applicazioni, Jariwala ritiene che il loro dispositivo potrebbe anche risolvere una lacuna critica nelle attuali architetture informatiche, dove la separazione tra CPU e memoria crea inefficienze, in quanto i dati devono viaggiare tra questi componenti, causando colli di bottiglia particolarmente critici nelle applicazioni di intelligenza artificiale che elaborano rapidamente grandi quantità di dati.
“I dispositivi convenzionali che utilizzano piccoli transistor di silicio hanno difficoltà a lavorare in ambienti ad alta temperatura, un limite che limita i processori di silicio, per cui si utilizza invece il carburo di silicio”, spiega. “Sebbene la tecnologia del carburo di silicio sia ottima, non è neanche lontanamente paragonabile alla potenza di elaborazione dei processori al silicio, quindi l’elaborazione avanzata e di una grande mole di dati, come l’intelligenza artificiale, non possono essere eseguite ad alta temperatura o in ambienti difficili. La stabilità del nostro dispositivo di memoria potrebbe consentire un’integrazione più stretta tra memoria ed unità di calcolo, migliorando la velocità, la complessità e l’efficienza dell’elaborazione. Lo chiamiamo ‘memory-enhanced compute’ e stiamo lavorando con altri team per preparare il terreno e portare l’IA in nuovi ambienti“.